La medicina medievale si basava molto sulla conoscenza della filosofia e dell'astrologia e benché avesse la pretesa di essere una diciplina empirica, i dottori dell'epoca si affidavano essenzialmente alle vitù curative di certe erbe, acque minerali e di tutti gli elementi naturali, comprese le fasi lunari. La pratica medica sicuramente più diffusa era il salasso, eseguito mediante incisioni o sanguisughe, nella convizione che togliere il sangue cattivo avrebbe favorito la rigenerazione di quello buono, portando il paziente ad una progressiva guarigione.
Un altro metodo comune di diagnosi era l'osservazione delle orine, di cui il medico studiava il colore e l'odore prima di pronunciarsi sull'eventuale cura. In realtà, nei casi più semplici, la miglior cura che poteva essere prescritta ad un paziente era del vino rosso e del buon brodo di carne, mentre per riparare ai danni dl salasso si ricorreva abitualmente alla bruciatura delle ferite con lame arroventate.
Per gli stati più seri o cronici si faceva invece affidamento alle proprietà curative di certe acque termali o di fonti ritenute benefiche, che effettivamente potevano risultare efficaci nella cura dei calcoli renali o disfunzioni epatiche. Una malattia molto diffusa tra i membri delle famiglie più facoltose era l'uricemia; fu questo il male di casa Medici nel Quattrocento, che provocò anche la morte di Lorenzo il Magnifico; i luminari chiamati a consulto provarono di tutto, arrivando a prescrivere un infuso a base di perle e pietre preziose polverizzate.
Le conoscenze più avanzate parevano essere quelle nel campo dell'ortopedia; i medici erano infatti in grado di curare slogature e fratture con steccature o bendaggi molto stretti o mettendo gli arti in trazione. Per i casi più disperati, comunque, non restava che affidarsi alla preghiera, invocando l'intercessione di qualche santo guaritore.