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storia della medicina

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2008 10:54
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Sesso: Femminile
12/02/2008 10:53

I^ parte
Il saggio ripercorre, lungo cinque secoli, l'evoluzione della “spezieria ospitaliera” della Ca’ Granda, l’istituzione deputata dentro l’ospedale alla preparazione e alla distribuzione dei medicamenti. Le vicende storiche si delineano attraverso il rapporto dialettico che s’instaura tra l’Ospedale Maggiore e la città, rappresentati in questo caso da un lato dai farmacisti ospedalieri e dall'altro dai pazienti cittadini. Si tratta di un percorso che doveva inevitabilmente partire dal momento della fondazione dell’ospedale e, attraverso la verifica del continuo confronto tra istituzione e città, giungere sino ai giorni nostri. Una “storia sanitaria a tutto campo” vista da una prospettiva insolita (quella
della terapia farmacologica) e poco nota, meritevole pertanto di essere meglio conosciuta.


La Farmacia dell’Ospedale e il suo rapporto con la Città


Un sentito, quasi “affettuoso” rapporto è quello che la Ca’ Granda ha sin dalla sue origini stabilito con i milanesi. Un più complesso, articolato e variegato rapporto è quello che storicamente si è invece andato strutturando tra l’antica farmacia dell’ospedale e
la città, tra i suoi farmacisti e i cittadini (1).

“In epso hospitale grande è ordinata una grande officina de speciaria instructa de omne copia medicinale,così per i chirurghi come per i fisici, [chè] senza li quali vano et infructuoso saria el consilio et
aiuto de li medici et ad epsa è deputato uno perito
speciale con doi boni garzoni” (2).

Con queste parole Gian Giacomo Gilino descriveva nel 1508 la spezieria dell’Ospedale Maggiore di Milano le cui costituzione era verosimilmente contemporanea alla nascita dell’ospedale, anche se il
primo documento ufficiale relativo ad essa è del 1470. Il libro mastro registrava in quello stesso anno una nota di spese “pro spetiaria posita in Hospitale Magno” e dava notizia di alcuni patti stipulati tra i deputati dell’ospedale e l’aromatario Giovanni da Vailate, in base ai quali quest’ultimo s’impegnava a fornire di medicinali due botteghe poste sotto il portico dell’ospedale. L’anno successivo l’amministrazione acquistava sei grossi alambicchi
per la distillazione delle acque, giustificando l’uscita di Lire 55, soldi 18 e denari 4 a titolo di “expense facte pro spetiaria”. Nel 1474 nel libro mastro è indicato un credito di Lire 240 a favore del
maestro speziale Giovanni per le forniture farmaceutiche
eseguite dal figlio Bernardo. Da questi stessi scritti si evince anche che il pagamento dei medicinali forniti all’ospedale avveniva convenzionalmente due volte all’anno: a Pasqua e a San Martino.
Il primo documento notarile, che sancisce chiaramente i patti tra amministrazione e conduttore della spezieria, è un rogito su pergamena del “notaro Jacobus de Rottiis” del 24 settembre 1476, reso
necessario dalla nomina del primo successore di Giovanni da Vailate nella persona di Giorgio Chignolo.

Il testo, di estremo interesse per le precise indicazioni relative agli impegni e ai compiti spettanti al maestro di spezieria che vi sono elencate,configura una vera e propria gestione in appalto del
servizio farmaceutico.

“Secondo le disposizioni capitolari aveva abitazione con la propria famiglia in locali annessi alla farmacia e ‘cum famulo uno bono et esperto in arte spetiaria et aromataria’. Non pagava pigione, o fitto,
ma doveva risiedere sempre nella ‘apotheca’ per essere pronto a prestare l’opera sua per i poveri ammalati; in caso di assenza aveva l’obbligo di farsi sostituire e non poteva allontanarsi dalla città senza uno speciale permesso ‘domini Priori set dominorum
deputatorum’. Doveva mantenere l’officina dell’Ospedale Maggiore provvista del necessario per tutti gli Ospedali di Milano e del suburbio; i medicinali dovevano avere il collaudo di due fisici e
di un esperto aromatario. Era fatto obbligo a Maestro Giorgio di registrare su un libro speciale ogni somministrazione e di trascrivere su altri libri le ricette ordinate dai medici per controllarne e stabilirne il prezzo: tali ricette gli venivano pagate in fine di ciascun anno […] Il Capitolo forniva vasi,utensili, alambicchi, vasche, caldaie di rame e quant’altro formava la dotazione permanente dell’officina,che lo speziale riceveva in deposito, previa stima, con l’obbligo della riconsegna all’Ospedale
in buono stato. E di ciò doveva rendersi garante con tutti i suoi beni mobili e immobili, rispondendone anche nei casi di furto o di violenza” (3).

In ambito farmaceutico, gli scopi di chi reggeva i nuovi grandi ospedali nati dalla “reformatione” quattrocentesca (che per la prima volta aveva separato gli acuti – suscettibili di guarigione – dai cronici – che non si dovevano ricoverare negli ospedali
ma negli “ospizi” per loro appositamente creati –) erano principalmente due: uno medico-sanitario, teso a garantire per la maggiore efficacia della terapia dei malati ivi ricoverati un’adeguata qualità dei prodotti medicamentosi e dell’assistenza speziale; l’altro economico-amministrativo, mirante a produrre
un funzionamento efficiente e una spesa oculata per evitare, nella produzione e nel consumo dei rimedi, lo sperpero ingiustificato di eccessive quantità di denaro pubblico. I “medicamenti del duca” (come venivano chiamati quelli cioè prodotti e utilizzati alla Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore voluto dal duca Francesco Sforza, per differenziarli dai farmaci delle altre botteghe speziali della città)
dovevano essere insieme validi ed economici. Un esempio di buon governo medico che s’iscriveva nel più ampio alveo del cambiamento culturale, sociale e finanziario che caratterizzò la metà del
secondo millennio.

In questo nuovo rapporto tra medicina e terapia, tra farmacia ed economia, tra efficienza e risparmio si delinea dunque il ruolo particolare di una figura nascente: quella dello speziale ospedaliero. Una professione solo in apparenza simile a quella del
collega che possiede bottega sulla pubblica via. In realtà un mestiere differente, che esige più dedizione, maggiore attenzione, un impegno a tempo pieno e la capacità di interagire attivamente e positivamente con i medici dell’ospedale. È quanto emerge chiaramente dalla citata relazione del Gilino, che nel capitolo relativo all’officio del spetiale e dei suoi coadiutori recita testualmente:
“Il spetiale douerà essere huomo esperto et pratico nella sua professione, né si ammetterà che prima non sia esaminato da i Consoli et Abbati de i spetiali di Milano et da medesimi approbato, et haurà due adiutori et un garzone i quali insieme con lui faranno
continuamente residenza in casa, per prouedere alle cose appartenenti alla spetiaria, ponendo mente con diligenza che i semplici siano buoni et le composizioni siano rinouate a tempi debiti, dimandando
tutto al bisogno per la sua fornitura alli Deputati a tal’impresa, et haurà da mandare uno dei suoi coadiutori con libro delle ricette di ciascun Medico appartato, quando essi Medici vengono a scriuere i
rimedij per gl’infermi, et composti che saranno detti rimedij, si porteranno di crociera in crociera con li bolettini de i nomi e de i numeri delle lettiere, acciocchè i serventi non fallino nel dar le medicine, siroppi et altre cose ad uno in cambio di un altro” (4).
Lo speziale e i suoi aiutanti avevano dunque un duplice compito: preparare i farmaci richiesti e gestire la spezieria; seguire il medico durante la visita dei malati per riceverne le prescrizioni e assicurarsi poi che i pazienti assumessero correttamente
e realmente i medicamenti prescritti. Non restavano quindi relegati nella bottega o nel laboratorio, ma partecipavano attivamente all’assistenza. La loro funzione era insieme farmacologica e assistenziale.

Il loro lavoro richiedeva competenza tecnica (anche se modesta dato il periodo) e disponibilità umana (assai importante per quei tempi), dovendo unire al gesto professionale della preparazione del medicamento la capacità esistenziale di fornire il farmaco al malato attraverso una relazione interpersonale positiva che costituiva un momento fondamentale per l’efficacia della cura.


Celine di Collebruno
Medico di Coorte St.Michael
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Post: 119
Sesso: Femminile
12/02/2008 10:54

II^ parte

L’Ospedale Maggiore di Milano e la sua spezieria costituirono per secoli un modello di valore europeo nell’indicare il modo migliore per attuare una buona assistenza e un’efficiente terapia.

Scrive ancora il Gilino nella sua relazione: “Le composizioni che accaderanno a farsi, se comodamente si potrà, anchor che ‘l spetiale fosse pratico, per più sicurezza e discarico d’esso […] si dovranno fare con l’assistenza di uno degli Abbati o Consoli delli spetiali di Milano: e alle medicine e altre cose che si distribuiranno in essa spetiaria, si farà il pretio secondo la lor qualità, appretiandole
quel medesimo valore, che saranno costate all’hospitale, o come saranno appretiate nel nuovo Inventario che si farà in principio d’ogni anno, acciocché al fine d’esso, o come tornerà meglio a detti deputati, renda poi a loro conto del consumato, secondo il detto pretio e a questo non si deve mancare […] Non darà mai robba della spetiaria ad alcuno, che non sia persona appartenente a gli hospitali, però con le ricette de i Medici d’essi” (5).

Disposizioni simili si applicavano anche alla “modesta bottega speziale” aperta nel 1499 nella sede del Pio Istituto di Santa Corona di Milano (fondato nel 1497 per assistere i malati poveri) per provvedere alla distribuzione gratuita dei farmaci ai bisognosi per la “sublevazione de li poveri infirmi di Milano” (6). Un servizio pubblico rivolto sia all’istituto che al territorio, che configura un altro modello d’ispirazione tardomedioevale che andrà esaurendosi solo nei secoli successivi: la possibilità di fornire medicamenti, oltre che ai malati interni, ricoverati in ospedale, anche ai malati esterni, rimasti nelle proprie case, per supplire, integrare o sostituire l’attività delle spezierie private con il duplice
intento di offrire una “qualità alta” (o comunque buona) e un “prezzo basso” (o meglio equo o addirittura nullo nel caso della distribuzione gratuita)dei prodotti medicinali.

Anche se rigidamente regolamentata, la distribuzione – gratuita o, nei casi di solvenza, a prezzi equi – dei medicinali al di fuori dell’ospedale era un’attività consentita (forse anche incentivata) dalle spezierie ospedaliere. “Al continuo ministerio che infirmi
et de altri poveri miserabili fora del hospitale,alli quali, sotto la informatione de li parochiani, è provveduto per amore de Dio de medicine”, come ricorda il Gilino, era tenuto per contratto anche lo
speziale della Ca’ Granda (7).

Era peraltro proibita qualsiasi attività extraospedaliera poiché “tanto il Maestro che gli aiutanti erano tenuti a dare garanzia di ciò che avevano avuto in consegna, ed era loro fatto obbligo di ‘non far mercanzia, bottega o traffico né alcun impiego d’altra sorte diretta, né indirettamente di cose spettanti alla Spezieria, sotto pena di privazione dell’Ufficio ipso facto’” (8). Essi cioè non potevano vendere “privatamente” i farmaci che fabbricavano dentro la spezieria dell’ospedale a pazienti esterni.
La qualità delle cure dentro l’ospedale doveva essere sempre ai livelli migliori. Particolare attenzione perciò andava posta nella scelta dei “preparatori” di tali cure e nel controllo della loro attività.

Le disposizioni riguardanti lo speziale ospedaliero della milanese Ca’ Granda emanate nel 1642 non lasciano dubbi al riguardo: “Il Mastro di speciaria doverà essere homo esperto nella sua professione, né si admetterà che prima non sii stato approbato e admesso nel collegio de i Speciali di Milano, et doppo il concorso non sia anco esaminato da Periti […] Haverà quelli Agiutanti, che parerà al Capitolo, i quali insieme con lui faranno continua residenza dell’Hospitale, per essere pronti a provvedere le cose pertinenti alla Speciaria, né potranno uscire dall’Hospitale sotto qualunque pretesto, senza espressa licenza di detto Mastro […] Doveranno
il Mastro e Agiutanti rispettivamente dare idonea sigurtà a laude del Capitolo, sì di dar buono conto di tutto ciò che pervenerà alle loro mani, et portarsi in tutto, con quella diligenza, et fedeltà, che si conviene,come anco di non far mercantia, bottega,traffico, né altro impiego d’alcuna sorte diretta, né indirettamente di cose spettanti alla Speciaria, sotto pena della privazione del’Ufficio ipso facto,
senz’altra dichiarazione del Capitolo” (9).

Capace e onesto, abile ma retto: la competenza tecnica non poteva né doveva essere disgiunta dal rigore morale. Pratica ed etica erano (o più correttamente avrebbero dovuto essere), per medici e speziali, due facce inscindibili della stessa medaglia sanitaria. Tra le altre incombenze organizzative v’era anche il controllo periodico delle adeguate disponibilità dell’officina e la gestione amministrativa.

“Visiterà la Speciaria ogni mese, e più spesso se farà bisogno, per riconoscere se vi manca alcuna cosa, acciò con ogni pronta diligenza sii subito fabricata, et tutte le compositioni siino rinnovate a
tempo debito, avertendo che li simplici siano buoni, et se ne facci solo nella quantità che sarà necessaria per conservarsi, et non gran quantità con pericolo di guastarsi o divenire inutile, et il tutto si doverà fabricare alla sua presenza, mettendo anchesso le mani dove farà bisogno. Domanderà tutto quello che farà bisogno per la fornitura
della Speciaria […] tenendosi conto distinto d’ogni cosa, con li debiti ordini in iscritto, et non altrimenti, avertendo che non si facci mandato d’alcun pagamento, che prima non sia stata riconosciuta
la qualità et peso della robba […] Quali mandati tenerà sopra libro particolare notati distintamente di tempo in tempo, con la qualità,
peso, et prezzo del tutto […] acciò quando li Signori Provinciali vedranno li conti […] possino trovar tutto notato giustamente conforme agli ordini haverà havuto il Speciale […].

Celine di Collebruno
Medico di Coorte St. Michael
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